E noi infatti non la vendiamo. Decidiamo direttamente di buttarla via come se fosse la cosa più logora e abusata del mondo. Non è una colpa da attribuire agli americani infatti, se dal dopoguerra in poi, per esempio, noi italiani ci siamo resi protagonisti di una tanto straordinaria quanto senza precedenti fra tutti i paesi europei, auto-americanizzazione (ci si passi il termine). Una auto-americanizzazione tanto più grave, quanto più se valutata in primo luogo rispetto all’assoluto impegno - al deliberato consenso si potrebbe dire -, che vi abbiamo profuso, fatto di devota applicazione e diligente pratica. Ma anche e soprattutto perché la nostrana scopiazzatura dei modi di vivere d’oltre oceano, si è pregiata di prendere da quella cultura solo quei lati che potremmo definire i più negativi. In una parola, i difetti. Tra i pregi buoni ci sarebbe stato da prendere, infatti, il forte senso d’appartenenza alla propria identità e l’attaccamento alle istituzioni che gli americani dimostrano comunemente (il senso della “patria”, diremmo noi, che nel caso americano si è potuto vedere fortissimo subito dopo l’11 settembre, quando la gente si è stretta attorno ai simboli nazionali, dalla bandiera, al Presidente degli States, quale che fosse, democratico o repubblicano). Invece niente, troppo complicato per noi. E se tutto questo qui in Italia può essere assimilato alla pura fantascienza (c’è bisogno di fare esempi pratici?), degli americani abbiamo importato così soltanto le esagerazioni iperboliche di cui sono antonomasia: dal modo assurdo di mangiare, con il fast-food che soppianta la nostra eccezionale cucina tipica, a quello di parlare, farcito ormai di tanti americanismi da svilire la ricchezza unica del nostro idioma. E che dire di Halloween? E’ certo che anche questa festa va considerata nel quadro della nostra auto-americanizzazione. Ma se fino alla prima metà degli anni ‘90 i ragazzini italiani non si sognavano ancora di passare di porta in porta per pronunciare il fatidico “dolcetto o scherzetto?”, l’ondata di letteratura fantastica della fine degli anni ‘90, seguita ben presto dalla televisione e dal cinema, ha fatto si che Halloween prendesse definitivamente piede nella nostra fertile società. Tanto che oggi, non solo i ragazzini hanno imparato a passare di porta in porta chiedendo: “dolcetto o scherzetto?”, ma di Halloween non se ne può più fare a meno. Anzi. A giudicare dal grande successo che riscuote soprattutto fra i giovani, sembra ormai pienamente... italianizzata. Eppure Halloween è da combattere. Non è un’occasione come un’altra per far festa o, come si sente spesso dire, una specie di carnevale autunnale. Perché non ha niente dell’innocenza carnascialesca. Basti pensare che nei giorni precedenti il 31 ottobre, vengono venduti articoli che dietro l’apparenza della mascherata diffondono e creano mentalità esoterica, educano all’occulto, inculcano perdute passioni per la stregoneria e per le pratiche magiche, aprono le porte al satanismo. Basterebbe dire che la stessa frase “dolcetto o scherzetto” (trick-or-treat), che letteralmente significa “trucco o divertimento, stratagemma o piacere”, originariamente significava invece “maledizione o sacrificio”.
Contro Halloween quindi. E non per bigottismo, nazionalismo o quant’altro, ma per proteggere i giovani da quelli che sono pericoli ben più subdoli, poiché le conseguenze di tutto questo respirar magia - dagli Harry Potter alle Witch - si manifesteranno in futuro con depressioni, violenze, crisi nervose. E mentre nella laicissima Francia alcuni sindaci hanno vietato espressamente i festeggiamenti di Halloween, in Italia i negozi hanno fatto affari d’oro vendendo maschere spaventose, scheletrini e scheletroni, denti da vampiro, mani mozzate e zucche di plastica. Vuote, come le teste degli italiani.
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