Proprio non riesce a piacermi quel recitare Gloria e Credo a
cori alterni. Soprattutto perché mi costringe a seguire le parti sul foglietto
per non rischiare di sovrapporre la mia voce a quella del celebrante.
E’ da un po’ di tempo, infatti, che i foglietti utilizzati
per seguire le messe (La Domenica, editi dalla San Paolo di Alba), presentano
il Gloria e la Professione di fede, il Credo, in una forma tipografica che
invita alla loro recita a cori alterni. In pratica il testo è diviso in parti
in tondo, che recita il celebrante, alternate a parti in grassetto, di
competenza dell’assemblea. Il motivo? Alcuni celebranti pensano che Gloria e
Credo a volte vengano recitati quasi meccanicamente, per cui, con i cori
alterni, si susciterebbe una recita più partecipata e consapevole. E questa è anche l'opinione del mio parroco, a Capranica, un paese della provincia di Viterbo.
La singolare novità liturgica, che dal tempo della sua
comparsa (nell’anno del Giubileo del 2000) ha subito più di qualche
aggiustamento con varie modifiche alle parti di competenza (poiché si è
verificato, addirittura, che l’Amen finale venisse recitato soltanto dal
celebrante, anziché da tutta l’Assemblea), è oggetto di discussione tra coloro
che ne sostengono l’opportunità e quelli - io tra questi - che invece la
ritengono inutile, se non addirittura dannosa.
Ma vale la pena ricordare ciò che prevede in proposito la
costituzione apostolica Missale Romanum, che promulga i Principi e Norme per
l’uso del Messale Romano. Se per quanto riguarda il Gloria, infatti, si dà la
possibilità che esso venga “recitato da
tutti, insieme o alternativamente”, ma solo se non lo si canta (cfr. n.
31), per il Simbolo di fede, il Credo, non c’è altra occorrenza se non quella
di recitarlo “un cuor solo e un’anima sola”, in quanto esso “deve esser recitato dal sacerdote insieme con
il popolo”, dandosi l’eventualità dei cori alterni, solo nel caso in cui venga
cantato (cfr. n. 43). Inoltre, la Conferenza Episcopale Italiana, nelle
Precisazioni a margine dell’adozione del nuovo Messale Romano, raccomanda che
nel caso della recita del Credo nella forma detta “degli Apostoli”, esso “sia usato per un periodo piuttosto prolungato” al fine
di ottenere nell’Assemblea “una più facile
memorizzazione nella lettera e nel contenuto” (cfr. n. 2). Ed è proprio questo
il punto: per recitare il Gloria e il Credo a cori alterni serve
necessariamente il foglietto, al fine di seguire le parti di propria competenza
e non invadere quelle del celebrante. Non vale più, dunque, conoscerli a
memoria, se non si conoscono i confini, le divisioni tra le due parti del coro.
E allora, varrebbe la pena di domandarsi, prima di accettare tanto facilmente
l’assunto cori alterni = meno monotonia, ergo, più partecipazione, se tale modo
di recitare Gloria e Credo possa causare, a lungo andare, la perdita
irrimediabile di parti della Messa mandate tradizionalmente a memoria
dall’Assemblea. Varrebbe la pena di verificare, poi, se è vero che così facendo
si migliora la partecipazione dell’Assemblea e non si aumenta, invece, la
confusione. E varrebbe la pena di domandarsi, infine, se non sia più importante
invitare i fedeli a partecipare alla messa meno meccanicamente piuttosto che
preoccuparsi se essi recitino più o meno meccanicamente, interamente e a
memoria, Gloria e Credo.
Questioni da liturgisti?
Questioni da liturgisti?
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