26 settembre 2009

La raccolta delle nocciole: un rito che si ripete


Rumore assordante in dense nuvole di polvere. 
Forse è questa la definizione che più si addice alla raccolta delle nocciole. Una definizione che salta subito agli effetti immediatamente percepibili dai sensi, tralasciando completamente le cause: la raccolta. D’altronde la moderna meccanizzazione ha fatto superare d’un colpo tutti gli aspetti più propriamente “umani” del rito – poiché di un rito si tratta – orientandola inesorabilmente in maniera esclusiva alla massima produzione (con la massima produttività).Ma c’era un tempo, neppure troppo lontano (qualche anno appena), in cui la raccolta delle nocciole era fatta soprattutto a misura d’uomo, con ritmi, tempi e modalità dal sapore antico. E se la macchina raccogli-nocciole (niente di più che un enorme aspirapolvere), ha ormai completamente sostituito le chiassose compagnie di lavoranti, chinati sul terreno a raccogliere faticosamente le nocciole una per una, e gli essiccatoi delle cooperative di produttori hanno oramai soppiantato il lavoro della asciugatura al sole, che trasformava per qualche settimana ogni piazzetta assolata in vere e proprie pavimentazioni di nocciole, ciò che la modernizzazione frenetica delle operazioni di raccolta non ha potuto cambiare, è il lessico utilizzato, che negli anni è rimasto pressoché immutato.

Così, nei paesi dei Cimini, soprattutto in quelli posti a Mezzogiorno della caldera del lago di Vico, dove più alta è la produzione di nocciole, la raccolta continua ad essere un vero e proprio rito che rispetta una precisa liturgia fatta di atti e di termini propri ed esclusivi. E se provassimo a girare a settembre inoltrato per le campagne della zona, ancora oggi, nell’era di internet e della globalizzazione, non incontreremo mai persone che procedono “all’aspirazione meccanizzata del frutto”, bensì, a Capranica come a Caprarola – i paesi che in tutta l’area producono più nocciole in assoluto – vedremo soltanto della gente che sta semplicemente a ppia’ su ‘e nocchie. Noi qui ci occuperemo, ovviamente, dei termini utilizzati nella nostra Capranica, ma il risultato non cambierebbe se prendessimo in esame uno dei paesi limitrofi.

Andiamo per ordine. Innanzitutto nella primavera precedente la raccolta, ogni proprietario sa già se questa promette di essere abbondante o scarsa. Gli basterà dare una rapida occhiata alla pianta, e vedere quante pèchere porta (le pecore, ovvero le infiorescenze alle estremità dei rami, così chiamate per la loro somiglianza agli ovini lanosi prima della tosatura). Ognuna di queste si trasformerà probabilmente in una pigna, con almeno due o tre o quattro nocchie. Intanto, però, perché la pianta non sprechi inutili energie, bisogna liberarla dai butti (ovvero i polloni), per cui, se non si vuole danneggiarla, sarà necessario ‘na a leva’ i butti, anche 3 volte all'anno. Dall’andamento dell’estate poi, dipenderà la bontà e la grandezza del frutto. E se le malattie come 'u cimiciato e i parassiti quali 'u balanino (curculio nucum), non avranno infierito troppo, all’interno d’a coccia, ovvero della parte legnosa del frutto, potremo avere un cìo più o meno grande e più o meno saporito.

A settembre, finalmente, la raccolta. Rigorosamente a macchina. Si conta sulla punta delle dita chi ancora va a adduna’, ovvero, a adunare, a raccogliere a mano le nocciole nei secchi. Ma quando si tratta di farlo in posti scomodi, come ‘lli’ne coste o ‘lli’ni morrali, non c’è scelta. Al limite s’ammucchino e si passino ‘lli’nu scifo (un vaglio metallico che serve a separare la terra e le foglie dalle nocchie). Dopo la raccolta a macchina, prima dell’asciugatura, è rimasto ancora qualche raro proprietario che procede alla cernita passando le nocchie sopra 'u curvello, anche detto cernarello, per far fa uscire le nocchie che si trovano ancora drento ‘a pigna, e per separare quelle bucate e gli altri detriti (sassi, rametti, etc.), dal prodotto buono. L’operazione dell’asciugatura è infine l’ultima in assoluto, e anche se ormai si preferisce affidarla alle cooperative, capita ancora di vedere qualche balla di prodotto spasa al sole, ‘lli’ni ballo’. Sono le nocchie che per tradizione vengono riservate a casa per la preparazione dei dolci natalizi, ‘u pampepato (pane pepato, ottenuto con l’impasto di nocciole, miele e cioccolato), o i tozzetti.

Ai primi di ottobre la raccolta e i suoi “riti”, possono considerarsi quasi completamente conclusi. Resta soltanto qualche grande proprietario che andrà avanti ancora per qualche settimana. Ma in tutto questo c’è qualcuno che non ha iniziato mai. E non si tratta di chi non possiede alcun noccioleto, ma di chi, forse orgogliosamente laico, quando si tratta di esserlo nei confronti della lunga liturgia della raccolta, ha pensato bene di non farsi coinvolgere troppo e di togliersi il pensiero in una volta sola. E se provate a domandargli se ha terminato la raccolta o com’è andata, vi risponderà, magari con un’alzata di spalle, dicendo che “’lla date a stucco... e orapronobbise”.

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