09 settembre 2013

8 settembre 1943 - Capranica ricorda l'inizio dell'occupazione tedesca




E' un mio vecchio pezzo apparso nella primavera del 2004, su una ricerca e una serie di interviste da me condotte con gli anziani di Capranica. Lo ripropongo qui di seguito.

Roma, 8 settembre 1943, auditorium "O" dell'EIAR. Sono le ore 19,45 quando il Capo del Governo, Pietro Badoglio, diffonde via radio, la notizia dell'ar­mistizio con le forze angloamericane.
"Il governo italiano, riconosciuta l'impossibilità di con­tinuare l'impari lotta contro la schiacciante potenza avversaria, nell'intento di risparmiare nuovi e più gravi danni alla Nazione ha chiesto l'armistizio al Generale Eisenhower, comandante in capo delle forze alleate angloamericane. La richiesta è stata accolta. Conseguentemente ogni atto di ostilità contro le forze angloamericane deve cessare da parte delle forze ita­liane in ogni luogo. Esse però reagiranno ad eventua­li attacchi da qualsiasi altra provenienza".
Appena qualche frazione di secondo e il comunicato arriva a Capranica trasmesso dal grande altoparlante della radio del caffè Mantrici, a "for di porta".
Il paese intero è per strada, impegnato nei festeggia­menti della "Madonna dell'8 settembre". E tra la gente, come sempre numerosissima, che segue la processione del Santo Patrono Terenziano verso il santuario della Madonna del Piano, la notizia si dif­fonde in un baleno, percorrendo velocissimamente il corteo da un capo all'altro.
La reazione è varia: c'è chi esulta; chi ringrazia Dio della notizia, chi teme un attacco aereo, e si nascon­de sotto gli olmi del viale, chi piange dalla gioia; o chi, ancora, ignorando il significato del termine "armisti­zio", non capisce nemmeno cosa stia succedendo. L'effetto, comunque, dev'essere stato davvero spetta­colare. Quasi da cineteca, con la banda che smette improvvisamente di suonare, la recita del rosario che viene interrotta, i paramenti processionali che vengo­no appoggiati agli alberi, e il Santo, addirittura, che viene abbandonato con la sua pesante macchina in mezzo al viale Nardini mentre tutti corrono e si agita­no.
Solo dopo qualche lunghissimo minuto la gente si rende conto davvero di cosa significa quella notizia: la guerra, quella guerra che tre anni prima era stata incominciata per spezzare le catene di un mare che tanti italiani non avevano mai visto o, peggio, "per dare finalmente un lungo periodo di pace con giusti­zia all'Italia, all'Europa, al mondo", è finalmente fini­ta. O, perlomeno, così avrebbe dovuto essere.
Perché, purtroppo, contrariamente a quanto si potes­se legittimamente pensare, la guerra non era finita. Anzi, il "peggio" doveva ancora venire.
Un "peggio" che avrebbe fatto davvero "vedere", e "toccare" la guerra a molti italiani. Ed anche ai capra­nichesi.
Un "peggio" fatto di 9 lunghissimi, fatali, terribili. Un "peggio" che - inevitabilmente? - avrebbe finito per portare la tragedia anche a Capranica, causando la morte di giovani ingenui, di placidi contadini, di dol­cissime mamme. Ventisei furono le vittime civili che la dura occupazione tedesca provocò alla nostra gente: otto capranichesi e diciassette giovani sardi. Gli uni e gli altri capranichesi, perché gli uni e gli altri italiani. Ventisei vite stroncate dall'assurdità della guerra. Uomini e donne a cui è stata negata ignobilmente e ingiustamente la legittima e sacrosanta possibilità di­ costruirsi un futuro: Lucia Oroni, Maria Torselli, Giuseppe Cocozza, Antonio Cocozza, Luigi Coletta, Virgilio Andreotti, Salvatore Alessi, Antemio Baldi e 17 giovani militari sardi. Ventisei morti.
E a distanza di 60 anni da quei tristissimi avvenimen­ti, c'è ancora viva la volontà, tra coloro che li hanno direttamente vissuti, di non dimenticare, di non "per­dere la memoria" e di raccontare, a beneficio dei più giovani, "ciò che significa la guerra".
Di descrivere ancora, cioè, quei lunghissimi 9 mesi ché il paese attraversò dall'armistizio fino all'8 giugno del '44, festa del Corpus Domini, giorno della libera­zione del nostro paese da parte delle truppe angloa­mericane.
Tanto ancora c'è da ricordare... da raccogliere... da dire... e non per scoprire vecchie ferite, o per "fare nomi" (cui prodest?) di gente che ha combattuto e col­laborato per una causa sbagliata, "dall'altra parte", ali­mentando polemiche inutili o disturbando il riposo e il ricordo di chi non c'è più.
Ma per ribadire, piuttosto, il senso e la necessità della memoria in quanto tale, fonte di inesauribile esperien­za dalla quale attingere, per non ripetere ancora, tra­gicamente e fatalmente, gli stessi errori del passato.
Per questo motivo, un gruppo di "giovanissimi" anzia­ni capranichesi, ha deciso di mettere a disposizione i propri ricordi e il proprio tempo, collaborando ad un progetto di ricerca su alcuni fatti accaduti in quei gri­gissimi mesi. E se si tratterà, di nuovo, di parlare tutto sommato degli stessi episodi - della settimana di ter­rore del novembre '43 soprattutto - si cercherà di farlo aggiungendo a ciò che in passato si è già detto, e scritto, alcuni aspetti particolari tutt'ora inesplorati, prima che se ne perda definitivamente il ricordo.
E si, perché le domande e i lati oscuri sono ancora molti.
Riguardo ai sardi sbandati, per esempio, quanti erano quelli nascosti a Capranica? Soltanto una sessantina? E perché si erano concentrati nel nostro paese? Chi li aveva portati qui? E qual è stato, in tutto questo, il ruolo ricoperto da Padre Luciano Usai, saveriano cap­pellano militare incaricato dal governo della R.S.I. diguadagnare a quella causa, nelle campagne di Capranica e sotto la guida del comando tedesco, tutti i sardi sbandati dopo 1'8 settembre? E chi ricorda il colonnello Bartolomeo Fronteddu, arrivato a Capranica per lo stesso motivo? E Francesco Maria Barracu? Potente sottosegretario alla presidenza del consiglio della R.S.I., che i verbali dei carabinieri affer­mano si sia fatto vedere a Capranica proprio in quei giorni? E perché i sardi di Capranica furono passati per le armi, mentre quelli catturati a Blara semplice­mente 'Condotti in prigionia? E perché furono fucilati improvvisamente e frettolosamente per strada? E, infine, l'ultimo e più inquietante interrogativo: da quale esercito avevano disertato? Da quello italiano o dal neocostituito battaglione sardo "Giovanni Maria Angioy" della R.S.I.?
E delle persone ebree ospitate e nascoste a Capranica? Che cosa si sa? Ai primi del '43, una rela­zione della Questura di Viterbo quantificava in circa 160, gli ebrei sfollati nei paesi del viterbese. Ma sol­tanto a Capranica ce n'erano forse una cinquantina: famiglie intere composte da numerose persone. Soltanto i Sonnino erano una ventina, e presto furo­no raggiunti da altri parenti a Capranica, dove hanno potuto scampare alla deportazione e alla morte. Quali sono le famiglie capranichesi che li hanno aiutati e nascosti?
E della famiglia Maccari? C'è chi li addita ancora come i salvatori di Capranica allorché, all'indomani della settimana di paura in cui vennero fucilati i mili­tari sardi, evitarono la distruzione del paese già decisa dal comando tedesco per rappresaglia contro l'ostilità della popolazione alle truppe d'occupazione. E dei tre sfortunati giovani amici che furono abilmente e dia­bolicamente incastrati per non aver fatto praticamen­te nulla, se non per l'aver detenuto una mitragliatrice Breda smontata dalla torretta di un autoblindo italiano abbandonato alla Via Romana dopo l'8 settembre? Tutto questo a vantaggio di chi? E perché? E che rela­zione ebbe questo fatto con il rastrellamento dei sardi? Sessant'anni sono trascorsi dai quei giorni e da quei fatti ormai lontani nel tempo. Eppure, grazie al ricor­do di chi li ha realmente vissuti, sono ancora così vici­ni a noi, e così presenti nella memoria collettiva del nostro paese. Un patrimonio di esperienze dal valore inestimabile che deve essere trasmesso, custodito, rammentato, rievocato, insegnato. Ancora oggi. A beneficio di tutti.
Anche e soprattutto, affinché quelle 26 vite stroncate dall'assurda follia dell'uomo, possano avere il futuro che è stato loro negato.

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