09 aprile 2021

Adduna' - Capranica come la ricordo io. Lessico semiserio di un mondo che non c’è più.


Il piazzale della Madonna del Piano ricoperto di nocciole ad asciugare al sole


‘ncuminciate a’dduna’ a’le mano, a’le mano. Ogni secchietto 50 lire”. Questi erano gli ordini dei nostri genitori all’inizio della stagione di raccolta delle nocciole, quando non esisteva ancora quella esasperata tecnologia che caratterizza oggi l’intera filiera della nocciolicoltura. Il momento della raccolta, in particolare, era vissuto un po’ come un rito nel quale si ritrovava non solo tutta la famiglia, ma una comunità intera. Gesti ripetuti e consueti che si riproducevano – in fondo come oggi, se non fosse che alcuni di essi sono ormai soppiantati dalle macchine – esattamente uguali in ogni noccioleto, secondo un protocollo non scritto, ma consolidato e generalmente accettato in maniera tacita in base all’esperienza quotidiana. 

 

Un noccioleto a settembre, poco prima dell'inizio della raccolta

E così, si cominciava ad adunare – una ad una – le nocciole cadute sul terreno, raccogliendole con fatica ma con allegria all’interno di grandi secchi di plastica (erano ideali quelli che contenevano la tinta murale) che poi, una volta pieni, venivano riversati in sacchi di juta – ‘e balle, le balle – oppure direttamente al centro di grandi teli stesi al sole, per favorire l’asciugatura del prodotto. Si “addunava” per molti giorni di fila essendo possibile effettuare la raccolta solo per piccole porzioni giornaliere di terreno. A meno che non si poteva disporre di numerose “opre” (op’re, contrazione di opere), ovvero di braccianti assoldati a giornata, soprattutto donne, che i grandi proprietari terrieri erano invece soliti utilizzare fino ad autunno inoltrato (in certe stagioni particolarmente inclementi, si giungeva addirittura alle soglie dell’inverno). I piccoli proprietari, come noi, si federavano invece in consorzi parentali con i quali affrontare insieme la stagione della raccolta. Era questo l’antico e diffusamente praticato sistema del renn’opre (rendere le opere), secondo il quale tutti i membri della compagine raccoglievano l’intero compendio dei terreni posseduti dalla famiglia allargata. E a nocchie, si cantava. Chini sul terreno, si intonavano stornelli romaneschi, canzoni del momento e canzonacce da osteria. Il tempo passava così un po’ più lieto e tutto sommato anche la fatica veniva sentita molto di meno. Era in questo ambito di parentela che a noi ragazzini piaceva cimentarci nella gara del riempimento dei secchietti. Questi ci venivano compensati dai nostri genitori o dai parenti per cifre all’epoca esorbitanti, tanto che ci trovavamo ad  addunare nocciole per ben 25/50 lire a secchietto. Appena finita la stagione della raccolta (‘a nocchiatura), quando saremmo ritornati a scuola, fissamente ed invariabilmente il primo giorno del mese di ottobre fino al 1977 (quando l’allora ministro della Pubblica Istruzione, il democristiano Malfatti, si attirò parecchi improperi dai capranichesi per aver anticipato al 20 settembre l’inizio delle lezioni), con quei soldini guadagnati raccogliendo palline con la buccia di legno, ci avremmo comperato qualche figurina per la collezione del campionato di calcio che era appena cominciato, oppure una confezione di colori, o qualche bel fumetto da leggere nei piovosi e freddi pomeriggi invernali.



Il "nocciolificio" di Vico Matrino, a Capranica

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