18 maggio 2021

Quando d’estate, tutti i giorni alle 14,30, alla Madonna del Piano passava Battiato

 

Corri ch'è tardi, ‘ché passa Battiato!“. In preda all’eccitazione e all’entusiasmo, da valle Santi correvamo su, in salita, per le scalette dell’Appello. Dovevamo assolutamente farci trovare pronti all’appuntamento per l’autostop, proprio davanti alla chiesa della Madonna del Piano. Battiato passava a Capranica tutti i giorni alle 14,30. Veniva da Trevignano Romano, dove lavorava in una azienda agricola, e andava a San Martino al Cimino, dove invece abitava. Approfittavamo di lui per andare al lago nella calda estate dell’82, quella dei mondiali di Spagna e dei nostri sedici anni. Lo vedevamo comparire puntualissimo sul rettilineo di Viale Nardini con la sua R4 azzurra, piena di cassette stracolme di pomodori e di musica. La sua.

Appena superato l’angolo della chiesa, accostava per farci salire: il tempo di accomodarci – si fa per dire – e via, verso i Cimini. Misterioso, dietro ai suoi Ray-Ban neri, esattamente come in “Bandiera Bianca” (c’è chi si mette degli occhiali da sole per avere più carisma e sintomatico mistero), Battiato ci accoglieva a bordo facendoci sistemare alla bell’e meglio. Non era raro che sul sedile posteriore dovessimo sedere uno sull’altro, dopo aver accatastato le cassette di pomodori per farci un minimo di posto. E fortuna che fossimo sempre in tre: io, Massimiliano ed Enrico, perché in quattro forse non ci saremmo entrati. E nonostante le R4 fossero macchine davvero straordinarie. 

Viaggiavamo scomodi lì dentro, stipati e al limite della legalità, ma ne valeva la pena. Perché in quella macchina il mondo era davvero diverso. Mentre partivamo verso la Pompa a Vento (che a quei tempi esisteva ancora), la musica altissima ci rapiva via facendoci viaggiare nel tempo e nello spazio. Come sempre, come ogni giorno, nello stereo della macchina girava – a palla – la cassetta de “La voce del padrone“.

A Capranica qualche giorno prima avevamo visto il concerto di Miguel Bose’, a settembre ci sarebbe stato il concerto di Viola Valentino e l’anno precedente, nell’81, avevamo vissuto la stagione d’oro dei concerti al Campetto: Alice, reduce dalla vittoria di Sanremo, i Collage, Riccardo Fogli, Lando Fiorini… Era questa la musica di quegli anni (a parte Alice), e questa era anche la musica che le nostre orecchie erano abituate ad ascoltare. Invece, a bordo di quella mitica R4 persa nelle nebbie del tempo, i bassi ci rimbombavano fortissimi nel petto, spezzando la monotonia dell’abitudine. I cori dei Madrigalisti di Milano, arrangiati da Giusto Pio, e la potente sezione ritmica di Donnarumma e Golino erano l’imprimatur di quella musica metafisicamente “altra”. Le chitarre di Radius si intrecciavano alle tastiere di Destrieri avvolgendoci in una “bolla” fuori dalla realtà. Ed i testi, cantati dal loro autore su registri di voce non piena, a mezza strada tra la gola e il falsetto, erano così strani e diversi che ci interrogavano nella loro ermeticità. Ma soprattutto, erano davvero abissalmente lontani da quelli “tutti amore e cuore” che i profondi anni Sessanta ancora riuscivano inspiegabilmente a tentacolare agli inizi degli Ottanta, quasi non ci fosse stato di mezzo un buon decennio.

Mentre il nostro occasionale autista ci trasportava verso Vico, con le sue spiagge piene di ragazzette e di sole, ascoltavamo così, in religioso silenzio, quel nastro che, per vie per noi inesplicabili, la testina dell’autoradio trasformava prodigiosamente in musica. Al bivio di Mariolina, laddove la stretta strada provinciale della Fontanaccia, dopo aver lasciato il bellissimo bosco di faggi secolari si innesta con quella della valle del lago, Battiato accostava di nuovo. Stavolta per permetterci di scendere. A poche centinaia di metri dall’acqua azzurra del lago, che ci prometteva frescura e divertimento, il nostro viaggio era finito, mentre Battiato ripartiva subito per casa dopo una giornata di lavoro. Per lui erano più che sufficienti un grazie per il passaggio e un saluto alla svelta, quasi accennato. Senza troppi convenevoli proseguiva veloce verso San Martino, neppure avendo cura, prima di ripartire, di risistemare le cassette di pomodori che rimanevano accatastate così come le avevamo messe noi alla partenza.

In un’estate intera, quella del clamoroso successo di quello vero di Battiato, non gli abbiamo mai chiesto come si chiamasse, né lui a noi. Che però lo avevamo soprannominato in quel modo, proprio come il grande cantautore siciliano, per via di quegli occhiali neri indossati su un volto asciutto e allungato. E per quella meravigliosa cassetta – non di pomodori – che girava nella sua macchina e che divenne giocoforza la colonna sonora di quella fantastica estate.

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