21 maggio 2021

Bar (barretto, CRAL, ARCI e Sarvato’) – Capranica come la ricordo io. Lessico semiserio di un mondo che non c’è più

La Repubblica Italiana è fondata sul lavoro. Capranica è fondata sul bar (ma anche l’Italia). Non è una stupidaggine questa, né si deve considerare come una cosa disdicevole. Nessuno può negare, infatti, che al bar nascono amicizie e amori, che al bar si parla di sport e di attualità, che al bar nascono progetti politici e addirittura liste elettorali, che al bar si concludono affari davanti ad un aperitivo e due stuzzichini. Il bar si può quindi considerare, a buon diritto, come una delle basi fondanti della nostra socializzazione. 

Ma il bar, inteso come locale di pubblico esercizio, alla metà degli anni Settanta non era poi così diffuso, a Capranica, come lo è invece oggi. Non si era infatti pienamente conclusa, in quel tempo, quella specie di evoluzione darwiniana che ha trasformato le osterie, ambiente esclusivamente maschile, in qualcosa di diverso, fruibile finalmente anche dal gentil sesso. Si pensi che all’interno del centro storico di bar ce n’erano soltanto un paio, perché gli altri locali esistenti erano ancora delle osterie (o qualcosa di molto simile), legate alla pressoché esclusiva mescita del non particolarmente pregiato vino locale (ma non per questo poco apprezzato).

Immaginando di percorrere il viale Nardini in direzione del borgo, ad un centinaio di metri da porta Sant’Antonio (‘a Porta), si incontrava per primo, sulla destra, lo storico bar di Nunziata, davanti all’edificio delle scuole elementari. Anche se questo esercizio, ab origine, era nato proprio come moderno bar, la mutazione da osteria era stata in questo caso favorita dalla presenza della scuola e dall’esigenza delle maestre di sorseggiare un buon caffè durante le lezioni. Continuando il percorso, sempre sulla destra, si incontrava il bar Meraviglia, adiacente all’omonimo ristorante e albergo, di poco precedente la schiera di vecchietti che stazionava perennemente a sedere sul muretto di via Thierry.

Sempre in ambito for di Porta, nel palazzo Morera in piazza Garibaldi, apriva e chiudeva con alterne fortune (parliamo della metà degli anni Settanta) un bar di fronte alla piccola fontana con i pesci rossi, nello stesso locale occupato fino agli anni Cinquanta dallo storico e glorioso caffé Mantrici (Sinalello).

Dentro la Porta, prima della salita del ponte dell’Orologio (che sarebbe stato intitolato a Stanislao Hosio solo nel 1979), ci si imbatteva in quello che comunemente veniva chiamato il barretto, in cui tutto era piccolo a partire dal gestore, Mario Cherubini detto Ciucare’, proprio per la sua minuta corporatura. All’interno del locale, superata la cortina fumogena prodotta dalla combustione di tonnellate di sigarette consumate dagli avventori, immancabile era il Corriere dello Sport, che trovavi aperto sul coperchio del freezer dei gelati, esattamente alla pagina dedicata a una delle due squadre di calcio romane. Ed altrettanto immancabile era il cosiddetto “terzo piano”, una specie di paradiso etilico per i gusti e le esigenze degli uomini forti (se non fumavi e non bevevi alcool non appartenevi a questa categoria), in cui venivano mostrati i liquori e le bevande superalcooliche (che superavano cioè i 21°) di cui il bar disponeva e che prometteva di servire, sottoforma di bicchierini a pagamento, agli avventori più affezionati. Tuttavia noi bambini, e poi più tardi, già più grandini e adolescenti, non amavamo moltissimo frequentare il Barretto, anche perché il solo entrarvi per prendere un gelato estraendolo dal fondo del freezer, significava automaticamente fumare l’equivalente in fumo passivo di due pacchetti di Nazionali senza filtro e impregnarsi indelebilmente i vestiti di fumo per il resto della giornata (ma allora era così per tutti gli esercizi).

Proseguendo all’interno del centro storico, dopo aver oltrepassato la porta dell’Orologio, e prima di avventurarsi nella zona in cui le osterie avevano il monopolio, si incontrava, stavolta sulla sinistra, il CRAL (Circolo Ricreativo Assistenza Lavoratori), sicuramente a mio parere il più bel bar di Capranica, con il fuoco che scoppiettava allegro nel camino durante le sere d’inverno, e che dava all’intero ambiente un non-so-che di rassicurante situazione casalinga. Era composto di due sale: nella prima si trovava il bancone vero e proprio del bar con la macchina da caffè, i ripiani dove facevano bella mostra di sé gli alcoolici, e una serie di tavolinetti dove gli avventori si intrattenevano giocando a carte; nella seconda c’era invece il famoso camino che diffondeva tepore nella stanza, nonché un bel biliardo su cui “gli davano di stecca”, all’italiana o all’americana, in leggendarie sfide fatte di eroici acchitti e geniali colpi di sponda, i più bravi giocatori capranichesi. Negli orari morti, tipo il pomeriggio prestissimo, lontano da occhi indiscreti, vi si cimentavano invero anche i professionisti della bevuta, ma non di quella alcoolica, bensì quella del clamoroso liscio che a biliardo denota la scarsa predisposizione al gioco. Ar Cralle, come veniva pronunciato dagli anziani, si poteva consumare di tutto, dal quartino miscelato allo “stravecchio”, con la sola, unica eccezione: la cioccolata calda. Questa bevanda infatti, per espresso editto emanato dal gestore Gino Saraceni (Gino d’er Cralle) – il quale nutriva un’atavica quanto inspiegabile antipatia per il cacao – era categoricamente vietata a tutti clienti e non era prudente neppure nominarla. Ordinargliene la preparazione apriva la situazione a scenari impossibili da immaginare, potendo portare il malcapitato che la chiedeva a conseguenze assolutamente imprevedibili e per lui inaspettate. Una fredda sera d’inverno, di quelle in cui una bella cioccolata calda ci starebbe proprio bene, un nostro caro amico (di cui taccio il cognome ma ne riporto il nome: Giggino) volle sperimentare la reazione del simpatico barista facendogli richiesta di servirgliene una. In quel momento Gino era impegnato nel bel mezzo di un’epica sfida a colpi di stecca contro un abituale avventore. Senonché quest’ultimo, essendo abilissimo nell’arte del biliardo, in quel frangente della tenzone stava mettendo il nostro barista in gravi – ma non serie – difficoltà. Gino non si perse d’animo ed immediatamente provvide a controproporre allo sfrontatissimo giovane di servirgli, in luogo di quanto richiesto, una decina di prodotti diversi che andavano dal caffè schiumato con latte caldo, al cappuccino scuro con doppio caffè e correzione a base di grappa veneta. Tuttavia, vistosi reiterare la richiesta da parte dell’improvvido ragazzo, e soprattutto sentendosi perduto contemporaneamente sia sul lato biliardesco che su quello baristico, per uscire dall’impasse cosmico in cui era stato cacciato, al fine di persuadere amichevolmente – per così dire – il malcapitato avventore ad addivenire a più miti consigli, si vide “quasi costretto” a percuoterlo sulla testa con la sua stecca da biliardo, favorendo così non soltanto le risate generali dei presenti ma anche lo spontaneo, volontario e immediato ritiro della comanda! Cioccolata calda a parte, il Cral rimaneva sempre un locale pieno di fascino, con quell’aria a mezza strada tra l’osteria e il bar.

Menzione speciale è da riservare al circolo ARCI di via della Viccinella che prese il via nel 1981. Anche questo bar era dotato di biliardo e lo frequentammo molto nell’anno dell’apertura, per poi dirigerci altrove. Per noi, infatti, andare al bar significava primariamente andare al CRAL, ma a volte la comitiva o il giro ci portavano a “bazzicare” gli altri due bar fuori porta, di cui non abbiamo ancora parlato. Il primo, adiacente al distributore Esso, non rientrava tra i nostri preferiti. Chissà? Forse per via di quell’aria un po’ snob e fighetta che avevano i suoi abituali clienti? Eravamo molto anticonformisti anche allora… Ci facevamo qualche veloce puntata soprattutto d’estate, ma solo di sfuggita, mentre magari ci stavamo dirigendo al Campetto. 

Eravamo quattro amici al bar, naturalmente al bar di Sarvato’. Era il giorno del mio matrimonio (6 giugno 1993), giornata elettorale (elezioni amministrative provinciali). Da sinistra Sandro Crocicchia, Primo Lanzalonga (al centro) e io. Dietro la macchinetta fotografica, Carlo "minestrina" De Luca.

Anche perché comunque, preferivamo frequentare di gran lunga, al pari del CRAL, il bar di Vallesanti: per noi il Bar, quello con la B maiuscola. Gestito da Salvatore Cherubini (fratello di Ciucare’) e da sua moglie Santina, ci offriva quelli che noi ritenevamo i migliori tramezzini di Capranica, preparati freschi uno per uno direttamente dai suddetti gestori. Per non parlare del miglior gelato “sfuso” del Paese! Al bar “di Sarvato’” ci sentivamo un po’ come a casa, coccolati e assecondati in tutti i nostri desideri. D’estate ci sedevamo all’esterno dell’esercizio, rilassati sulle mitiche sedie multicolori di acciaio cromato e filo di plastica, per sorseggiare tra una chiacchiera e l’altra un tropical (latte e menta), un frullato di banana o un frappè di fragole. D’inverno, invece, soprattutto nei pomeriggi domenicali, ci accomodavamo all’interno, nella rientranza del locale di fronte al lunghissimo bancone, dove finalmente, senza alcuna tema, potevamo gustare una bella tazza di dolce cioccolata calda. Questa ci veniva preparata con assoluta maestria e amorevolezza dallo stesso Sarvato’, e servita con tanto di guarnizione di una soffice rosa di panna. Non restava che portarla al tavolo per gustarla beatamente. Anche se era quasi un peccato – tanto era bella da guardare – “sacrificarsi” del doverla bere.

 

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