26 ottobre 2012

L'uscita di scena del Cav: e adesso?


Anche se mostrano tutta la soddisfazione possibile - gaudium magnum, direi - più o meno tutti a sinistra, ora, in questo momento, si stanno facendo una domanda precisa: e adesso?E così, man mano che prende corpo e si delinea sempre più precisamente la realtà di un mondo finalmente senza Berlusconi, le teste d'uovo post-comuniste (quelle che sbandierano il Che solo perché è un "must" ma si fanno il bagno nelle migliaia di euro), si trovano a fronteggiare una crisi da horror vacui da cui non usciranno facilmente.
Tanto che avranno la necessità, nella crisi d'astinenza in cui presto cadranno, di ritirare in ballo il Cav - e ben presto - per mancanza assoluta di altri obiettivi.
Ma mi dite voi con chi se la dovrebbe prendere il povero Ahmadinejad se per caso Israele non ci fosse più, o il Grande Satana Americano non esistesse? E un tifoso romanista? A chi dovrebbe addebitare i soprusi calcistici che subisce la sua squadra se mo', da un giorno all'altro, sparissero e non ci fossero più la Juve con i suoi intrighi di palazzo, la Lazio semplicemente perché è la Lazio, l'Inter perché è di Moratti, e un altro 99,99% di squadre di calcio mondiali?
Perché è esattamente questo l'effetto a sinistra dell'uscita di scena di Berlusconi (...ma poi... sarà vero?).
E quindi, come faranno i Croza, i Fazio, i Saviano, le Litizzetto, i Luttazzi, le Guzzanti, i Floris... i Santoro... (i Santoro!), senza più il Cav? Di chi parleranno? A chi addebiteranno la responsabilità del marciume della politica, della crisi economica, della scarsa credibilità internazionale del nostro Paese, insomma.... tutto il male possibile, compreso le caramelle rubate alle bambine, se non c'è più Berlusconi?
Ma come faranno a muovere le loro "gioiose macchine da guerra" elettorali e a rinfocolarle nella santa e giusta crociata contro il grande ammaliatore degli italiani (poveri cristi che non sanno distinguere il vero bene dal vero male), se Silvio Berlusconi improvvisamente si ritira dalla prima fila?
E così, nell'attesa di trovare un valido rimpiazzo (dopotutto nel '94 Berlusconi non fece altro che sostituire Giulio Andreotti nel mirino della sinistra, che se non c'ha un nemico da abbattare non funziona proprio), il Santoro, da buon volpone del "servizio pubblico" (il suo), ha pensato bene di colmare subito il vuoto lasciato dal Cav, cominciando la puntata di stasera della sua trasmissione (in cui per pura sfiga mi sono imbattuto zappingando), proprio come se... il Cav ci fosse ancora: con una bella intervista a Ruby...
Fate come lui, allora. Imparate... dilettanti!

22 ottobre 2012

Ripensare la pastorale parrocchiale - 2


Se invece di voltarci indietro, guarderemo avanti,
se invece di guardare le cose che si vedono,
avremo l'occhio intento a quelle che non si vedono ancora:
se avremo cuori in attesa, più che cuori in rimpianto,
nessuno ci toglierà la nostra gioia,
poiché noi siamo nuove creature nella novità
sempre operante del Signore.

Don Primo Mazzolari

Apro questa seconda puntata di "Ripensare la pastorale parrocchiale" con un pensiero di Don Primo Mazzolari.
La "tromba dello Spirito Santo nella bassa mantovana", come lo definì Giovanni XXIII, ancora una volta si dimostra uno straordinario profeta dei nostri tempi.
Don Primo non ha fatto in tempo a vedere il Concilio Vaticano II, eppure metteva già in guardia da quel vizio assurdo che toglie il respiro alla pastorale parrocchiale, gli leva il coraggio, la strangola fino ad ucciderla: la nostalgia.
La nostalgia è una brutta bestia. Ma noi cristiani dovremmo esserne esenti.
Dovremmo vivere con consapevolezza nel già e nel non ancora, nel qui e nell'adesso, con l'aratro diretto verso un terreno ancora vergine, che rifiuta la lama del vomere ma che per questo deve essere faticosamente e con tenacia, dissodato e conquistato alla semina...
Mi ricordo, nel '96 a Roma, una definizione della pastorale per bocca dell'allora rettore del Pontificio Collegio Leoniano di Anagni, Mons. Francesco Lambiasi (oggi vescovo di Rimini, già assistente generale di A.C.). Di quella stessa che si svolge nelle nostre parrocchie, non qualcosa di astratto e teorico. In sede di Commissione per il Laicato della Conferenza Episcopale del Lazio stavamo confrontandoci con il documento dei vescovi italiani "Comunicare il vangelo in un mondo che cambia", gli orientamenti pastorali per il decennio 1996-2006 dopo il convegno ecclesiale di Palermo. Ebbene, mai definizione fu tanto efficace quanto impietosa: una pastorale "lagrimosa".
Lambiasi rimarcò particolarmente questo difetto della pastorale nelle nostre parrocchie, spesso ancora voltata all'indietro, à la recherche di quelli che furono i numeri straordinari della Chiesa italiana del primo dopoguerra, e che non potevano tornare più, dipingendola così lagrimante tanto da rinchiudersi in se stessa e rimanere assurdamente finalizzata alla conservazione dell'esistente.

Nella mia parrocchia è proprio così.
Siamo perennemente rivolti ai "bei tempi" che furono e che non torneranno mai più.
Da noi, soprattutto, non ci riusciamo proprio a scrollare di dosso esperienze di un glorioso passato che furono efficaci ed esaltanti in un determinato periodo storico, con una determinata classe sociale, una determinata generazione, determinate persone. Esperienze che si sono svolte nel pieno dei travagliati anni Settanta e che hanno portato frutto fino alla metà degli anni Ottanta.
Ebbene il parroco - qui a Capranica ininterrottamente dal 1965 - pensò bene trent'anni dopo, nel 2007, di cercare di riprodurre tali esperienze, dopo anni di Azione Cattolica, lanciando una pastorale giovanile fatta di gruppi spontanei. Il guaio è che alla guida di questi gruppi furono chiamati sessantenni, e alcuni altri nostalgici della belle epoque della nostra parrocchia. E con tutto il rispetto per i sessantenni... non mi sembra che la cosa potesse iniziare all'insegna della novità: vino vecchio in otri vecchi.
Il risultato? Si è visto a distanza di cinque anni: durante l'estate del 2012 non si sono praticamente fatti campi scuola, la pastorale giovanile è agonizzante vieppiù, i responsabili dei gruppi sono invecchiati ma ancora non mollano, al vescovo gli si racconta che va tutto bene e il parroco si inventa improvvisamente di trasbordare coattivamente tutto l'ambaradan nell'Azione Cattolica contro la volontà di tutti (sia dei responsabili dei gruppi spontanei, sia della stessa Azione Cattolica), con la motivazione che solo l'A.C., durante l'estate, è riuscita ad organizzare campi scuola.

Per rifondare davvero la pastorale parrocchiale, bisogna quindi per prima cosa avere il coraggio della novità e il coraggio di non voltarsi mai indietro.
Se continueremo a guardare al passato, a rispolverare formule che non sono per tutte le stagioni, a dirci: "quanto era bello prima...", "ai nostri tempi...", "noi più vecchi...", "a noi piaceva tanto...", allora non possiamo andare da nessuna parte. Siamo destinati a rimanere schiacciati dai sassi con cui sono fatte le nostre chiese che prima o poi ci crolleranno addosso.

Quindi la parola d'ordine è: niente nostalgia. Guardiamo al futuro e prima ancora guardiamo a questo nostro tempo per imparare a "leggerlo" per cogliere "i segni" di salvezza attraverso cui lo Spirito imperscrutabilmente comunica con noi. Con coraggio, con fatica, con forza, con ostinazione. Solo così "nessuno ci toglierà la nostra gioia, poiché noi siamo nuove creature nella novità sempre operante del Signore".



18 ottobre 2012

Un emissione filatelica su un dipinto della Chiesa di San Giovanni

 
Mi ha segnalato l'amico Antonio Iezzi, che le Poste Magistrali (quelle del Sovrano Militare Ordine di Malta), per celebrare il 1700° anniversario della battaglia di Pointe Milvio (o, secondo alcuni storici, di Saxa Rubra) svoltasi il 28 ottobre 312 tra Costantino e Massenzio, hanno emesso due francobolli che ritraggono un dipinto della Chiesa di San Giovanni Evangelista, in Capranica.

Il dipinto è un affresco conservato nella cappella del Crocifisso e si trova nella parete a destra. Secondo Trento Morera sarebbe stato affrescato tra il 1889 e il 1890 dal Prof. Domenico Fontana, ma nella mie ricerche d'archivio non ho mai trovato traccia di pagamenti dell'amministrazione della Collegiata a nome del suddetto. 
Nel dipinto viene raffigurato l’imperatore Costantino che assiste alla visione della croce nel cielo, da cui promana la scritta in greco “en toito enica” (in questo vinci), mentre la didascalia della pittura è “in hoc signo vinces”. 

Ecco la scheda di emissione dal sito dell'Ordine di Malta (è l'emissione n. 439 del 2012):




Data di emissione: 24 settembre 2012
Valori: due francobolli da € 2,40 ciascuno uniti in appendice centrale, per complessivi € 4,80. In foglietto, due francobolli da € 2,50 e da € 5,20 per complessivi € 7,70.
Soggetto: Commemorazione del 1700° anniversario della Battaglia di Ponte Milvio. L’emissione filatelica raffigura il dipinto “La visione di Costantino” conservato a Capranica, presso la Chiesa di San Giovanni Evangelista;
Serie: nel francobollo a sinistra dell’appendice: particolare di Costantino, nel francobollo a destra dell’appendice: particolare della Croce portata dagli angeli. Nell’appendice centrale: particolare della scritta in greco apparsa con la Croce e la didascalia: “1700° anniversario della Battaglia di Ponte Milvio”
Foglietto: il dipinto nella su interezza. In francobollo: nel valore da  € 2,50 particolare di Costantino; nel valore da € 5,20 particolare della Croce portata dagli angeli.
Formato francobollo: serie: mm 30 x 60 per ciascuno dei due valori; foglietto: mm 48 x 30 per ciascuno dei due valori
Dentellatura: serie: 13 x 1/4; foglietto: 13 x 1/4
Formato foglietto: mm 120 x 170
Tiratura: dodicimila serie complete con appendice e cinquemila foglietti numerati
Foglio: da tre serie complete con appendice (sei francobolli e tre appendici)
Stampa: offset. Cartor Security Printing. La Loupe, Francia
Fotocolor: G. Palozzi

16 ottobre 2012

Il senso dello humor di Giovanni Paolo II


Oggi ricorre l'anniversario della elezione al soglio pontificio di Giovanni Paolo II.
Vogliamo ricordare quel grandissimo Papa e comunicatore, con alcune frasi che ho trovato tra le mie mail e che rivelano il suo grande senso dello humor.

Mentre era ricoverato al Policlinico Gemelli dopo l'operazione al femore, un monsignore di curia particolarmente zelante gli disse: "Santità sta meglio ora, più di quanto non lo fosse prima" E il Papa, di rimando: "Scusi, ma allora perché‚ non si fa operare lei?".

Durante uno dei suoi innumerevoli viaggi in Africa gli venne presentato un sovrano accompagnato da una signora. "Santità questa è la regina madre" gli dissero presentandogli la donna. Vedendo che però era piuttosto giovane, Giovanni Paolo II chiese sorpreso: "Ma è la madre del sovrano?" "No, Santità, è la madre dei figli del sovrano, una delle otto mogli del re". "Ah ho capito - sorrise Wojtyla, senza fare una piega - vedo che qui siamo ancora nell'Antico Testamento".

Ad Introd, il paesino valdostano dove spesso ha trascorso le vacanze estive, un giorno un gruppo di persone che facevano di tutto per essere notate venne bloccato dalle inflessibili guardie del corpo. Il Papa piuttosto incuriosito per tanto baccano chiese chi fossero. "Santità, sono extracomunitari" "Beh, allora che aspettiamo ad andare da loro, visto che anche io sono un extracomunitario".

A Manila, durante l'Incontro Mondiale con i giovani, Wojtyla che all'epoca usava il bastone per i postumi della sua operazione al femore, lo usò come se fosse una bacchetta per dirigere l'orchestra. Poi rivolto ai suoi collaboratori aggiunse: "Ecco questo mi potrebbe servire anche per qualche giornalista"

14 ottobre 2012

Ripensare la pastorale parrocchiale - 1


Cinquant'anni dall'apertura del Concilio.
Ma cosa hanno raccolto le nostre parrocchie da questa straordinaria esperienza della Chiesa?
Hanno fatto proprio il messaggio dei Padri conciliari o sono ancora ferme al 10 ottobre 1962?
Sono riuscite ad impostare una pastorale veramente efficace ed in grado di incidere sulle anime e sulla società?

Secondo la mia esperienza di laico, nella pastorale parrocchiale molta è ancora la strada da fare.
Tanto c'è ancora da lavorare per arrivare a realizzare la "Chiesa bella del Concilio".
E sicuramente uno dei punti su cui c'è da insistere - e tanto - è quello dell'abbandonare il prima possibile la pastorale parrocchiale incentrata sui sacramenti.
Le nostre parrocchie sono dei "sacramentifici", delle fabbriche in cui si producono sacramenti.
Tutto ruota intorno a questa produzione che annualmente sforna prime comunioni, cresime, battesimi e matrimoni. Come se fossero dei numeri di efficienza produttiva da raggiungere assolutamente a soddisfazione dei bisogni del mercato. Quest'anno abbiamo fatto 56 comunioni, 60 cresime, 35 matrimoni, 27 battesimi...

E' troppo forte quello che dico? Irriverente?
Allora vi dico come si svolge l'anno pastorale in una parrocchia qualunque: la mia, a Capranica, in provincia di Viterbo.

All'inizio dell'anno vengono raccolte le iscrizioni al catechismo.
Due cicli: il primo per i bambini delle elementari che si preparano alla prima comunione; il secondo per i ragazzi delle medie che si preparano alla confermazione (cresima). Su questi due sacramenti si concentra il grosso dello sforzo parrocchiale, con notevole impegno di uomini e mezzi, come si direbbe dal punto di vista produttivo.
Una volta all'anno, di solito in febbraio/marzo, viene organizzato un corso in preparazione al matrimonio, per le coppie di fidanzati che si sposeranno entro l'anno o a breve.
Per i battesimi, il parroco pensa di volta in volta a fare una breve catechesi personalizzata ai genitori che chiedono il sacramento per il loro figlio.

Accanto alle attività parrocchiali esistono movimenti (Neocatecumentali, Rinnovamento nello Spirito Santo), che utilizzano le strutture parrocchiali ma che, di fatto, svolgono una propria pastorale orientata agli adulti. E' attiva poi l'Azione Cattolica, che opera a servizio di bambini e ragazzi delle medie e delle superiori. Ci sono infine il gruppo dei terziari francescani e una serie di centri d'ascolto, entrambi eredità della missione cittadina guidata dai francescani nel 2005/2006.

In pratica, dunque, con una pastorale così i punti di contatto con la parrocchia di una persona durante la sua vita, sono assai rari.
Dopo l'iniziazione cristiana, all'indomani della cresima, c'è subito il primo liberatorio allontanamento. Il grosso del numero dei ragazzi non vede l'ora di finire il catechismo e di sparire definitivamente dall'orizzonte parrocchiale. Ritornano qualche anno dopo solo quelli che decidono di sposare in Chiesa. Dopo il corso fidanzati si sparisce di nuovo e si tocca nuovamente la parrocchia quando si decide di far battezzare i figli. Piccolo momento di contatto con il parroco e poi di nuovo via. Ci si volatilizza fino all'avvio del catechismo per la prima comunione, in terza elementare.
Questo è il punto di contatto di maggior durata, circa sei anni se si considera la preparazione alla prima comunione insieme a quella alla cresima. Dalla cresima dei figli in poi... di nuovo buio. Si chiamerà il parroco solo per far amministrare il sacramento degli infermi ai propri cari malati o per il funerale di qualche parente...
Complessivamente questo tipo di pastorale, orientata esclusivamente alla preparazione ai sacramenti, offre quindi ben pochi punti di contatto con le persone...
Restano poi da vedere ed analizzare le motivazioni per cui si chiedono i sacramenti per i figli.
E questo è un argomento davvero spinoso.
E' chiaro che molti lo fanno soprattutto perché tutti fanno così, ovvero per conformarsi e basta, e quindi senza convinzione personale. Ma è anche vero che finché questo stato di cose non viene a cambiare, con tutta l'impostazione della pastorale, sarà sempre così.

Pensate che quello che ho scritto non sia vero? Che non sia così? Ovvero che le nostre parrocchie non siano sacramentifici? Allora per dimostrarvi che è così vi parlerò del sacramento della confermazione.
Lasciamo infatti da parte sia il battesimo, sia la prima comunione.
La confermazione, per sua natura, ha bisogno di una maturità intellettuale ed umana maggiore di quella necessaria per ricevere la prima comunione.
Nella mia parrocchia la cresima si riceve in terza media, a 13 anni. In altre parrocchie della mia diocesi (Civita Castellana), il sacramento viene amministrato in seconda o addirittura in prima media. Quando però si comincia a discutere di spostare la data alle scuole superiori perché, appunto, la cresima va ricevuta con pieni sentimenti e intenzioni, tutti cominciano a storcere il naso. Come fai a tenere i ragazzi per così tanto tampo se è già difficile tenerli fino in terza media? Si perdono, si dice. E dopo la terza media non si perdono lo stesso? La maggior parte si. Quindi non si ha il coraggio di prendere una decisione seria in merito solo perché si ha paura di sguarnire una parte della fabbrica dei sacramenti. Perché non si ha il coraggio di dire: basta, da oggi in poi la cresima si amministra a chi la chiede in tutta maturità, minimo a 18 anni di età. Perché, dunque, si ha paura di perdere un pezzo della collaudata catena di montaggio. Ecco perché.

Eppure bisognerebbe avercelo questo coraggio. E bisognerebbe avere anche il coraggio di non amministrare i sacramenti a chi non dimostra di chiederli per fede. Ma come si fa a giudicare le intenzioni dei cristiani? Come si fa a dire: tu si, tu no? Tu sei promosso e tu bocciato? (bruttissima l'analogia con la scuola!)
Problemi di coscienza di non facile risoluzione...

E vi siete mai domandati perché la pastorale delle nostre parrocchie è così strutturata?
Pensateci un attimo. La soluzione è molto semplice.
Perché è la cosa più facile da fare.
Perché è molto più agevole far catechismo ai bambini eppoi ai ragazzi piuttosto che confrontarsi con i problemi degli adulti, delle famiglie, degli ultimi, dei lontani.


Ma allora qual'è la soluzione?
La risposta è un ripensamento complessivo della pastorale, una sua rifondazione, una vera e propria rivoluzione delle nostre parrocchie, che passi per un nuovo progetto della catechesi, dinamico, propositivo, moderno, adattabile e soprattutto  concettualmente diverso da quello attuale.
Non possiamo far finta di dimenticarci che dal Concilio ad oggi sono passati 50 anni.
Non possiamo far finta di niente di fronte ai profondi mutamenti della nostra società.
Non possiamo far finta di non capire che se il Vangelo rimane sempre il medesimo, le modalità con cui portarlo alla gente vanno assolutamente adattate agli uomini di oggi.


12 ottobre 2012

La Chiesa bella del Concilio 2

Qualche foto della serata di ieri a Roma...


L'appuntamento dei pullman dell'AC della diocesi di Civita Castellana davanti a Santa Maria in Traspontina - 1 


L'appuntamento dei pullman dell'AC della diocesi di Civita Castellana davanti a Santa Maria in Traspontina - 2


La sede nazionale dell'AC in via della Conciliazione, 1


Aspettando la fiaccolata - 1


Aspettando la fiaccolata - 2


Aspettando la fiaccolata - 3 - parte del gruppo di Capranica e di Rignano Flaminio


Inizia la preghiera


Durante la preghiera - 1


Durante la preghiera - 2


Durante la preghiera - 3


Durante la preghiera - 4


Durante la preghiera - 5


Durante la preghiera - 6


Fiaccolata lungo via della Conciliazione


In Piazza San Pietro - 1


In Piazza San Pietro - 2


Aspettando il saluto del Papa - 1


Aspettando il saluto del Papa - 2


Durante il saluto del Papa - 1


Durante il saluto del Papa - 2


Il saluto della piazza al Papa - 1


Il saluto della piazza al Papa - 2


Foto ricordo dei gruppi di Capranica, Fabrica di Roma e Rignano Flaminio

11 ottobre 2012

La Chiesa bella del Concilio...

In partenza per Roma...
Non è ancora bella come il Concilio voleva, ma è pur sempre una madre.
E anche se brutta, a una madre gli si vuole bene sempre.
E io gliene voglio.


09 ottobre 2012

Decisioni non motivate...



Beh... viste le nuove delle ultime settimane a Capranica, vale proprio la pena di ripassare la memorabile lettera di Don Lorenzo Milani, scritta con Don Bruno Borghi, indirizzata all'Arcivescovo di Firenze, Ermenegildo Florit, sulla condivisione delle decisioni nella Chiesa (leggi: collegialità) e sulla necessità di darne motivazione (i tratti in grassetto sono i miei).
Il contesto era la rimozione del rettore del Seminario, Mons. Bonanni, che il Vescovo mise in atto senza sentire il bisogno di dare spiegazioni al clero.
A distanza di cinquant'anni e dopo un Concilio, non è che la situazione sia mutata molto... 
Basta cambiare i nomi e fare le debite proporzioni...

Lettera al clero fiorentino
A TUTTI I SACERDOTI
DELLA DIOCESI FIORENTINA
e.p.c.
ALL’ARCIVESCOVO MONS. FLORIT

Stampata e diffusa per posta da don Lorenzo e da don Bruno Borghi all’annuncio improvviso, e dato senza alcuna spiegazione, che il card. Florit aveva dimesso mons. Bonanni dal suo incarico di rettore del Seminario Maggiore di Firenze.

1.10.1964
 
Caro confratello,
abbiamo sentito da più parti un coro di rammarico alla notizia che mons. Bonanni non è più rettoreL’argomento non può non interessarci: il Seminario è un fatto di tutti noi, non un fatto privato del Vescovo.
 E non solo di noi sacerdoti, è anche un fatto di tutto il popolo cristiano che chiamiamo a contribuire al mantenimento dei seminaristi, che dovrà domani accettarli come padri e maestri, che porterà la conseguenze di un migliore o peggiore sistema educativo in Seminario.
Probabilmente tutti i sacerdoti fiorentini in questi giorni hanno parlato del problema del rettore con qualche confratello. Molti avranno sentito il desiderio di parlarne anche col Vescovo e se poi non ne hanno trovato il modo, l’occasione o il coraggio, hanno sentito il disagio di aver parlato alle spalle di un assente e d’aver taciuto con lui. Siamo stati abituati a considerare il silenzio in casi simili come  un segno di rispettosa sottomissione all’autorità. Ma sotto sotto sappiamo che è più comodo tacere che parlare e forse il silenzio non è che un sistema per scaricare sul Vescovo il barile della nostra responsabilità.
L’episodio Bonanni non è che uno fra tanti. Forse quello che ha colpito un maggior numero di sacerdoti. Un altro, sicuramente più grave, è quello del padre Balducci: l’Arcivescovo ha posto i cattolici fiorentini nella condizione di doversi regolare con la sola coscienza in materia di teologia come se fossero protestanti. Non ha risposto alle loro precise domande scritte, mentre i due giornali fiorentini sostenevano due oppostissime opinioni teologiche e due giudici laici si permettevano di sentenziare in materia di dottrina cattolica e perfino di mettere in dubbio la buona fede di un sacerdote e di un maestro di ineccepibile dottrina e rettitudine quale padre Balducci. Che si sappia noi due, in quell’occasione, scrissero all’Arcivescovo i parroci d’un solo vicariato.
Un terzo episodio, quello che all’annuncio ci aveva dato la speranza di un primo tentativo di dialogo tra l’Arcivescovo e noi, cioè la riunione preconciliare, si risolse in un monologo e non ci fu data la possibilità di parlare. Purtroppo anche quella volta non abbiamo reagito.
Ma questi non sono che tre episodi di un problema molto più generale: il problema del dialogo. Il Papa ha chiamato i Vescovi a dialogo, perché il Vescovo chiamasse a dialogo i parroci, il parroco i parrocchiani lontani e vicini. Se manca un solo anello di questa catena il messaggio di Giovanni XXIII e il Concilio non raggiungono il loro scopo. A Firenze un anello manca certamente: il dialogo tra il Vescovo e i parroci e questo proprio nel momento in cui maturava l’esigenza del dialogo coi lontani: comunisti, ebrei, protestanti. Abbiamo da parlare con tutti e non parliamo al Vescovo e il Vescovo non parla a noi! Il 90% dei Vescovi e due Papi hanno scelto la via dell’apertura e del dialogo. È l’ora di svegliarsi e d’accorgersi che la Chiesa fiorentina col suo muro tra Vescovi e preti è ormai al margine della Chiesa cattolica.
Ma è anche al margine del mondo d’oggi. Quel mondo d’oggi cui Giovanni XXIII guardava con tanta affettuosa stima in cerca delle verità che Dio vi ha certamente nascoste, perché anche noi le trovassimo e le facessimo nostre. Quel mondo ci guarda con giusto disprezzo e si allontana sempre più da noi e dalle tante verità che a nostra volta potremmo offrirgli.
Per esempio un episodio come quello Bonanni in cui un rettore dopo sei anni di servizio viene sostituito per motivi che non sono stati comunicati, urta la sensibilità del mondo d’oggi di cui facciamo parte e che è ormai abituato a non accettare provvedimenti non motivati. Perché un importante provvedimento che non sia stato pubblicamente motivato è infamante per chi ne è l’oggetto. Offende poi la dignità di quanti sono direttamente o indirettamente interessati al problema. Li tratta come animali inferiori cui non si deve spiegazione e da cui non s’accetta consiglio. Dare, togliere, accettare e tenere le cariche come se le cariche fossero solo onori alla persona, problemi di carriera e non luoghi di servizio per i quali non si può pensare di servire senza una specifica competenza! I laici d’oggi restano a bocca aperta di fronte a questo settecentesco modo di concepire l’autorità. La possibilità di ricorrere contro le decisioni dell’amministrazione è stata introdotta in Italia da quasi un secolo, la motivazione obbligatoria delle sentenze, il diritto di difesa ecc. appartengono ormai al patrimonio di tutta l’umanità civile. Possiamo rinunciarci noi sacerdoti per una esigenza di ascetica personale, ma i laici d’oggi, cristiani e non cristiani, non possono capire perché solo noi non vogliamo tendere l’orecchio ai «segni dei tempi», adeguarci a esigenze così universalmente accettate.
Veniamo al pratico: Non scriviamo con l’intento di far recedere l’Arcivescovo dalla sua decisione sul Seminario. Quel che ci proponiamo è solo di creare una qualsiasi forma di dialogo tra noi e lui, un’usanza di parlargli, un nuovo stile di rapporto. Non è con i telegrammi d’auguri, il regalo di una croce pettorale e le genuflessioni che si mostra l’amore al Vescovo, ma piuttosto con la sincerità rispettosa, il rifiuto del pettegolezzo di sagrestia.
Perciò, prendendo spunto dal caso Bonanni, abbiamo pensato di proporre a tutti i sacerdoti fiorentini l’inizio in concreto del dialogo: chiediamo all’Arcivescovo che risparmi ai nostri popoli lo scandalo  di un assolutismo abbandonato ormai anche dal Papa e perfino dai comunisti. Chiediamogli di parlare anche con noi dei motivi della sostituzione del rettore. La nostra qualità di figli maggiorenni e di corresponsabili ce ne darebbe quasi un diritto. 
Ma non lo avanziamo. Lo chiediamo per piacere.
Può darsi benissimo che la tecnica del dialogo che abbiamo scelta sia sbagliata. Ce ne suggerisca lei una migliore per la prossima volta. Ma non rinunciamo per un puntiglio formale all’idea di creare un nuovo rapporto finalmente filiale tra noi e il Vescovo. Se si pretende che l’iniziativa risponda perfettamente ai gusti d’ognuno succederà che non se ne farà di nulla.
Abbiamo preparato l’accluso cartoncino. Come vede il testo che le proponiamo è volutamente contenuto nella forma più attenuata e rispettosa proprio per venir incontro al maggior numero di sacerdoti. Se le va bene, la preghiamo di firmarlo e di inviarlo all’indirizzo di don Borghi. Se preferisce un altro testo, un po’ diverso oppure anche di opposto contenuto, lo invii egualmente, e don Borghi sarà ben lieto di consegnarlo personalmente all’Arcivescovo insieme agli altri.

Fraterni saluti

Bruno Borghi sac.

Lorenzo Milani sac.

01 ottobre 2012

Barbiana

La piccola pieve di Sant'Andrea con la canonica

Finalmente l'ho vista. Ieri sono salito a Barbiana. In compagnia dei miei figli Sara e Giuseppe, di mia moglie Teresa, dei miei amici Silvia e Peppe, con la piccola Emma, Daniele e Vania, Tamara, Annarita.
E grazie ad una serie di fortunate coincidenze ho potuto anche conoscere Michele Gesualdi, uno dei "ragazzi" di Don Milani.
Entrando nella scuola l'emozione è stata grande, tanto che ho dovuto trattenere a stento le lacrime. Poi alla vista della sdraio del Priore... gli occhi mi si sono riempiti ed ho dovuto faticare non poco per non farmi vedere dagli altri.
La scritta "I care", i grafici, l'astrolabio fatto in casa... tutto incredibilmente vivo. Nulla di museale, da esposizione, da mostra. Tanto che si poteva sentire il respiro dei ragazzi della scuola, le loro voci, e quella del loro Professore-Prete...
E poi il cimitero... i due metri quadrati di terra sotto i quali riposa Don Lorenzo... vicino alla Nonna... e all'Eda...
Mi pare di esserci stato sempre quassù... 
Forse perché mi sento montanaro dentro e quindi capoccione, come i ragazzi della scuola...

 La finestra della minuscola sagrestia
 
 La piccola pieve di Sant'Andrea

 Giuseppe con Michele Gesualdi

 La famosa scritta "I care"

 La biblioteca della scuola

 La sdraio del Priore

 L'aula della scuola


 A scuola con Michele

 La piscina dove i ragazzi imparavano a nuotare (il mare in montagna)

 Il piccolo cimitero di Barbiana

 I due metri quadrati di terra acquistati due giorni dopo essere arrivato a Barbiana

 Sulla tomba di Don Lorenzo